giovedì 18 dicembre 2014

Sdrammatizzare serve sempre (tautogramma in S)

 Sabato sei settembre, Samsa si scoprì sottosopra.
 Sdraiato sulla schiena sobbalzava, sgambettava senza spostarsi. Si stava spazientendo. Sebbene si sfiancasse, stava saldo sullo stesso spazio.
 – Salvatemi! – strillò. – Sbrigatevi!
 Sua sorella seduta sulla sedia stava suonando. Si svagava sorridente, spensierata; smise subito sentendosi supplicare. Si sollevò, si spostò, si stoppò spaventata sulla soglia.
 – Soffochi? Sanguini?
 – Sorellina, – Samsa si svegliò, – sto sognando?
 – Sbagliato.
 – Sembro sempre… strano?
 – Semplicemente susciti schifo, – spiegava sua sorella, – sei stomachevole.
 – Sei stata scortese, – Samsa sospirava, – sono state scritte soltanto stupidaggini sugli scarafaggi. Siamo sensibili, sai? Sì, soprattutto se siamo schiacciati. Soffriamo sul serio.
 – Scusi, signore, – sua sorella sogghignava. – Siccome sono stupida, spesso sottovaluto simili sentimenti.
 – Sparisci, strega! – Samsa sconsolato sarebbe salito sul soffitto; si sarebbe scheletrito, sarebbe scappato sfruttando spiragli stretti sullo spigolo sinistro. – Sloggia, sgualdrina senza scrupoli!
 – Sei spassoso, – sua sorella sghignazzava. – Saresti simpaticissimo spiaccicato sulla strada, spappolato.
 – Smettila!
 – Suvvia, scherzavo.
 – Sicura?
 – Sdrammatizzare serve, sennò scoppiamo.
 – Senti, – sussurrò Samsa speranzoso, – steso supino sto scomodo.
 – Seppure sgradevole, – sentenziò sua sorella soccorrendolo, sistemandolo, – sarai sempre straordinario.