In
Irlanda, incantevole isola irregolare (include innumerevoli insenature), in
inverno inoltrato incontrai Isotta.
Infermiera
irriducibile, inginocchiata impugnava intrugli incolori, imbevibili; incoraggiandomi
insultava:
– Ingerisci, idiota!
– Improponibile – infilzato, insanguinato, inspiravo
immaginandomi instradato in itinerari infernali[1].
– Impegnati! – Isotta incitava, imprecava. – Incapace!
– Intelligentissimo Iddio – imploravo, –
interrompila.
–
Inutile invocare idoli immortali, ingurgita! – impartiva istruzioni, insisteva. – Imbecille!
Ingoiando,
incamerai immediatamente impeto: – Incredibile!
Irrigidimento, indifferenza, ignavia indietreggiano! – inarcandomi insù, innalzandomi
illeso interrogai Isotta, incalzante: – Indigena?
– Indovinato.
– Impegnata?
– Idem.
–
Insomma – intuii, – impenetrabile.
–
Infatti.
Invece
ieri Isotta invertì idea; imbarcati insieme, inghiottimmo idromele incantato,
innamorandoci.
Ispiravo
improvvisamente impudicizia. Infoiata, Isotta intonava inviti indecenti:
–
Inaugurami, impollinatore incallito. Insegnami intrattenimenti insudicianti.
– Incapperemmo
in incomprensioni – ipotizzavo, – istigheremmo impiccioni invidiosi! – intravedevo
impedimenti. – Isotta, inganniamoli: innanzitutto incappucciamoci; indossiamo
indumenti indecorosi, insoliti. Irriconoscibili, intrallazzeremo inosservati.
– Ingegnoso.
– Infine intenderei… – impazzivo indugiandole
innanzi, – inchiappettarti.
–
Illuso.
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